Stefano Galieni - Responsabile Pace, Movimenti e Immigrazione Prc S.E.
Si va diffondendo, soprattutto nel mondo dei social, il tentativo di
motivare, con un approccio “marxista” le ragioni che dovrebbero indurre
la sinistra e in particolare le comuniste e i comunisti, a limitare, se
non contrastare l’accoglienza dei migranti, a combattere le Ong che
effettuano soccorso in mare, come “serve del capitale”, ad indurre a
credere, giungendo nei casi peggiori a vere e proprie teorie
complottistiche, che l’immigrazione “selvaggia” sia un progetto preciso
del capitale per ridurre i diritti dei lavoratori autoctoni, in cui la
sinistra “radical chic” sempre intenta a fare aperitivi nei salotti
della borghesia, è caduta o magari è consapevole complice in nome di
concetti liberali come quelli dei diritti umani, della libera
circolazione delle persone. A detta di alcuni pensatori di tale stampo
dovremmo pensare invece che a fare i “buonisti” che accolgono, a
riprendere la lotta di classe per portare alla rivoluzione il
proletariato nazionale. Alcuni almeno ammettono candidamente che se non
cominciamo ad accettare la rabbia che ha il popolo verso i migranti
perdiamo qualsiasi legame con la classe (ergo diventiamo dei Salvini con
la bandiera rossa?) altri invece utilizzano consapevolmente la stessa
disinformazione borghese per affermare, sempre con la suddetta bandiera
rossa in pugno, le stesse cose che dicono i giornali della borghesia
come il Corriere della Sera o La Repubblica. Vero è che la rivoluzione
ha percorsi tortuosi ma questo pare onestamente un labirinto. Mi provo
ad offrire spunti di riflessione a partire da un assunto. Ormai stanno
convincendo gran parte del paese che è in atto una guerra fra poveri
(peccato che i “poveri migranti” non si possano difendere dai “poveri
autoctoni” e quindi quantomeno manchi uno dei contendenti), in realtà a
mio modesto avviso quella che è in atto è una “guerra contro i poveri”. E
c’è da dire prima di partire che se nella trappola ci si è caduti in
molti lo si deve anche ad un antirazzismo etico, di benpensanti, che non
si confronta con la realtà e le sue contraddizioni e che con il proprio
giudizio morale non fa che rafforzare un “razzismo popolare” certamente
presente. Provo ad utilizzare alcune parole chiave su cui si fondano
simili discorsi, per destrutturarli alla radice. Mi si scusi fin da ora
per la superficialità inevitabile in uno spazio esiguo.
Esercito industriale di riserva
Si tratta di un vero e proprio tormentone: la domanda è esiste e
serve un esercito industriale di riserva? Marx usava correttamente
questo termine quando la rivoluzione industriale era in piena ascesa e
non esistevano ancora contratti nazionali collettivi, sindacalismo
diffuso. Tempi insomma in cui a fronte di una ampia richiesta di
competenze lavorative di bassa qualifica, il padrone poteva scegliere il
lavoratore che costava di meno e che non creava problemi. Oggi l’Europa
e in particolare l’Italia sono in una situazione radicalmente diversa.
Il paese ha ridotto in pochi anni del 25% le proprie produzioni in base
ad una logica di concorrenza globale, molti impianti produttivi, anche
in attivo vengono delocalizzati. Non siamo concorrenti ci dicono per la
troppa rigidità del mercato del lavoro. Ce lo dicono da 30 anni, abbiamo
i salari fra i più bassi d’Europa, decine di forme contrattuali
diverse, sempre a vantaggio di chi trae profitto e dovremmo diventare
ancora più concorrenziali avendo meno diritti? Ma soprattutto in tutto
questo cosa c’entrano i migranti che sbarcano? Sono persone che per
almeno due anni non avranno neanche la possibilità di essere inseriti
nel ciclo produttivo, in attesa dell’esito delle domande d’asilo, che
dovranno imparare lingua e lavoro. Questo a fronte del fatto che, in
assenza di qualsiasi progetto di ripresa reale, dall’Italia dall’inizio
della Crisi (2008) fino al 2016 hanno lasciato ufficialmente il paese
509 mila italiani, molti altri sono all’estero anche se mantengono la
residenza in Italia. Lo hanno fatto perché i migranti rubavano loro il
lavoro o perché di lavoro almeno pagato decentemente ce ne è poco? Un
ritorno al passato, a quando l’emigrazione italiana era veramente una
invasione e in Germania come in Belgio i sindacati reagirono pretendendo
parità di salario a parità di lavoro. Quello che oggi in Germania (dove
non vige il socialismo) si pretende per Turchi e Siriani. E comunque
509 mila, è un numero inferiore a quello dei migranti giunti nello
stesso periodo in Italia e che vi sono rimasti, E mentre anche molti
cittadini migranti presenti da tanti anni o scelgono un altro paese o
tornano al proprio, in tanti si cade nella trappola per cui sono i nuovi
arrivati a toglierci lavoro, casa, servizi. E se invece tornassimo a
pretenderli per tutti? Altro che prima gli italiani. E a pretendere
l’abrogazione del Regolamento Dublino che obbliga chi arriva a restare
nel primo paese di arrivo, minacciando, in caso di risposta negativa, di
fornire chi arriva di titoli di viaggio e di permessi umanitari per
poter circolare in Europa? Sarebbe una disobbedienza concreta ai
trattati, meno ipocrita e criminale della scelta di pagare altri, Libia o
Turchia, per fermare le persone, per fare il lavoro sporco di aguzzini
legalizzati.
Perché abbandonano il proprio paese?
Anche questa fa parte del repertorio: “se sono sotto dittatura si
debbono ribellare in patria se sono migranti economici debbono
migliorare e condizioni della loro classe nel loro paese, se sono in
guerra debbono combattere”. Visto e sentito sintetizzando, in ambienti
di “sinistra” se non “comunisti all’ennesima potenza”. Eh la storia che
non insegna verrebbe da dire. Pensiamo a noi. Gli antifascisti furono
costretti in gran parte alla fuga per riorganizzarsi, chi non ce la
faceva per ragioni economiche se ne andò prima in ogni paese del mondo,
poi dal sud verso nord, dove c’era bisogno di manodopera non di riserva.
E come la diaspora durante il fascismo, l’emigrazione al nord furono
motori trainanti, prima della resistenza e poi delle conquiste sociali
degli anni Sessanta e Settanta. Certo ci furono problemi ma vennero
affrontati in un’ottica di classe e non di “nazione”. Da ultimo dei 35
conflitti ufficialmente in atto nel mondo e delle centinaia di
situazioni di tensione beneficia l’industria bellica che in Italia è
estremamente fiorente e fa salire il Pil. Si è disponibili a combattere
per un taglio drastico delle spese militari, per una riconversione delle
industrie alla Finmeccanica e per l’interruzione delle relazioni
diplomatiche ed economiche con paesi come l’Arabia Saudita, la Turchia,
la Nigeria, la Libia che sono fra i nostri migliori clienti? Se non si è
disposti a questo e la si considera questione di secondo ordine se ne
accettino le conseguenze, anzi finora sin troppo blande. Da ultimo – i
numeri sono importanti – dei 62 milioni di uomini e donne in fuga da
varie parti del pianeta, gran parte cerca di restare nei pressi del
proprio paese, in quelli confinanti, nella speranza di un ritorno. In
Europa, nella ricchissima Europa, ne arriva si e no il 6%.
La globalizzazione liberista fa circolare liberamente merci, capitali e persone
Fra le balle in circolazione questa è una delle peggiori. Mentre
capitali e merci circolano, da tanti anni ormai, indisturbati, per le
persone la vicenda va esattamente al contrario. I paesi a capitalismo
avanzato oggi sono pieni di muri e di ostacoli alla circolazione delle
persone: il muro in Messico è una costante della storia americana, sia
che governino i democratici che i repubblicani, l’Europa odierna è un
sistema micidiale di gabbie verso l’esterno e mura interne per impedire
la circolazione all’interno della stessa UE. Muri reali e muri fatti di
repressione poliziesca. Basti pensare che la Francia ha rimandato in
Italia lo scorso anno quasi 29 mila persone e che l’Italia continua
imperterrita a fare rimpatri verso i paesi con cui ha stretto accordi,
paesi in cui il tasso di democrazia è quantomeno opinabile. Entrare in
Europa legalmente oggi è impossibile, come è impossibile in Australia.
L’Italia, come la Grecia, è un paese esposto al sud, inevitabilmente è
il paese in cui passare ma non quello in cui fermarsi. Peccato che chi
governa l’Europa e non mi sembra che si tratti di filantropi
caritatevoli, buonisti radical chic, o rivoluzionari duri e puri, neghi
loro la libera circolazione mediante il regolamento Dublino e la stretta
dei controlli nell’Area Schengen. Il tutto per numeri risibili: lo 0,2 %
della popolazione italiana o lo 0,02 % di quella europea, arrotondando.
Io chiamerei questo proibizionismo, altro che libera circolazione. Un
proibizionismo che ha prodotto in meno di 20 anni oltre 40 mila morti in
mare e chissà quanti nei deserti. Una guerra silenziosa il cui bilancio
dovrebbe convincere anche i più sicuri dell’oscuro complotto
capitalista. Se non bastasse, certamente per depistarci, i fondi spesi
per “difendere i confini” e per le agenzie di contrasto all’immigrazione
come FRONTEX, non sono calcolati per definire il deficit di qualsiasi
stato membro. Ovvero più reprimete e meno pagate.
Per colpa dei migranti ci sono meno servizi agli italiani
Invece di dire “per colpa delle politiche economiche di austerity si
taglia tutto” è meglio prendersela con chi ottiene briciole di
accoglienza. Evidentemente i marxisti che fanno queste affermazioni sono
convinti di trovarsi davanti ad una crisi di scarsità di risorse.
Peccato sia esattamente il contrario. La crisi è di sovrapproduzione ma
con bassi salari e alta disoccupazione nonché prospettive incerte di
futuro, lo Stato avrebbe due modi per risolvere i problemi. Il primo
prevede una vera progressività fiscale, una patrimoniale per le grandi
ricchezze, una tassazione della rendita finanziaria e immobiliare degna
di questo nome e una riduzione dell’orario e del tempo di lavoro e
adeguamento dei salari ai costi della vita. Dovremmo pretendere questo.
Invece i governi di centro destra e di centro sinistra, da decenni
risolvono smantellando settori interi del welfare. Questo in un paese
che invecchia produrrà sempre più danni, già oggi 12 milioni di persone
rinunciano spesso a curarsi, centinaia di migliaia sono in emergenza
abitativa, le condizioni generali di vita peggiorano. Magari si
controllerà il debito pubblico e tante banche verranno salvate ma è
colpa dell’arrivo degli immigrati o della nostra complessiva scarsa
capacità conflittuale? “I soldi ci sono” non è uno slogan ma una realtà
inoppugnabile. Che si dica questo invece di accettare che il disagio
popolare ricada su chi sta peggio. E di servizi ne avremo sempre più
bisogno dato il calo demografico della popolazione italiana che diviene
sempre più anziana. Una situazione peggiore c’è solo in Germania e non a
caso i tedeschi, non certo in nome del socialismo, ha negli anni
passati aperto le porte ad oltre un milione di richiedenti asilo,
soprattutto siriani, sospendendo il regolamento Dublino. L’isolamento
autarchico in cui qualcuno ci vorrebbe far tornare in nome della
sovranità nazionale, avrebbe come primo effetto quello di accentuare la
fine tanto delle capacità produttive che di costruzione di conflitto
sociale, nel paese. Sempre sui social, mi è capitato di provare stupore
di trovare chi, citando Marx, afferma che il nemico di classe non è solo
il padrone ma anche il sottoproletariato disposto a svendersi.
Ovviamente si guarda al “sottoproletariato migrante”, che per antico
retaggio colonialista, non può mai avere propria coscienza politica.
Peccato che molti fra i pochi conflitti nel mondo del lavoro che si sono
innescati in questi anni (logistica, agricoltura per esempio) abbiano
avuto migranti come protagonisti mentre una condizione sociale che
potremmo definire simile al sottoproletariato di marxiana memoria è oggi
in gran parte autoctono. Sono altri nemici di classe? O forse Marx
avrebbe poco gradito tale rigidità di analisi?
Accoglienza e Ong, un unico grande business
Questa affermazione, che per altro porta a confondere due
problematiche diverse, parte però da due assunti reali. L’accoglienza,
gestita in Italia sempre come “emergenza” fin dai primi anni 90 è sempre
stata un lucroso affare. Accanto a splendidi e piccoli esempi di
cooperative reali si sono imposti sistemi paramafiosi (anche se per la
Procura di Roma è errato parlare di mafia) in cui però un ruolo centrale
è determinato dal sistema legislativo e dagli organismi dello Stato che
sono preposti a gestire tale situazione. I fondi per l’accoglienza ci
sono, arrivano in parte sostenuta, dall’Europa, ma non esiste un ruolo
reale di controllo. Ministero dell’Interno e Prefetture definiscono
bandi in cui chi fa l’offerta più vantaggiosa e ha le strutture
adeguate, si prende gli ospiti, dall’albergo al mega centro per migliaia
di persone. Entrate enormi per i grandi enti gestori che non subiscono
mai reali ispezioni, salari da fame per i tanti operatori che ci
lavorano. In alcuni paesini questa è l’unica opportunità di lavoro
offerta. Se l’accoglienza fosse gestita totalmente dal pubblico e i
richiedenti asilo potessero essere distribuiti in tutti gli 8000 Comuni
italiani e non, come avviene adesso in soli 2300, non si avrebbe neanche
la percezione di invasione. Ma sarebbero centri più piccoli che
garantirebbero profitti più bassi. Invece sulle Ong che guadagnano
salvando persone parte delle credenze che circolano, anche nei nostri
ambienti, vengono da lontano. Un tempo in Italia esistevano tante Ong
(Organizzazioni NON governative) ma che, nonostante il loro nome,
vivevano grazie a elargizioni del governo o dei singoli ministeri. Oggi
non è più così infatti le finte Ong italiane hanno chiuso da tempo o
hanno trovato donatori privati. Quelle che intervengono a salvare i
profughi lo fanno grazie ai tanti donatori, i loro bilanci sono
pubblici, pur non essendo italiane, si trovano nei loro siti. Anzi più è
alto il numero dei donatori più se ne vantano. Gli equipaggi vengono
pagati gli altri sono volontari. Qualcuno obbietta con l’affermazione
“si ma sono figli della borghesia che così aiutano il disegno del
capitale”. Molti provengono anche da famiglie abbienti perché solo chi
ha una serenità economica può dedicare qualche mese l’anno a fare il
volontario in mare. Una colpa? Equipariamo il servizio nelle Ong a
servizio civile e facciamo si che anche i giovani meno privilegiati
possano fare simili esperienze. Magari poi diventano i vettori di una
informazione reale che i nostri mezzi di comunicazione ci negano.
Cittadinanza e ius soli
Anche in questo caso, se si deve accettare l’onestà intellettuale di
certi discorsi pubblici (non sempre è possibile), vengono i brividi. “Si
tratta di leggi inutili e di diritti superflui”. Peccato che lo si dica
godendone appieno. Eppure è logico pensare che se soltanto la
restrittiva legge sullo ius soli, (frutto di un compromesso al ribasso)
venisse approvata e se per i cittadini lungo residenti fosse assicurato
il diritto di voto, almeno alle elezioni amministrative, molte cose
potrebbero cambiare. Ci voterebbero? Non è detto, almeno che non si sia
chiari fino in fondo, ma avrebbero finalmente un potere contrattuale
anche politico, romperebbero la barriera per cui io decido chi
amministra anche le altrui vite, costringerebbe i governi a fare i conti
e a negoziare anche per garantire parità salariale ed evitare che in
futuro sorga la concorrenza fra lavoratori tanto temuta. Sarebbe un
piccolo passo di civiltà, altro che questione non prioritaria. O si ha
paura di doversi confrontare con chi, almeno sulla carta, avrebbe uno
strumento in più per affermarsi? Chiaro che si tratta di diritti più
formali che sostanziali, ma perché tanto bisogno di farli restare
privilegi? E comunque che questi discorsi si facciano ai tanti ragazzi e
ragazze che vogliono costruirsi qui un futuro e che spesso lottano con
noi.