martedì 6 settembre 2016

CIAO COMPAGNO SALVATORE



In questi giorni abbiamo dato l’ultimo saluto al compagno Salvatore Martusciello. Salvatore è stato un autorevole componente del direttivo del circolo di Rifondazione comunista di Saronno, ma soprattutto un pezzo di storia della sinistra del saronnese: fondatore della locale sezione del Partito dei comunisti italiani, membro del direttivo dell’ANPI saronnese, attivo in associazioni culturali locali.


I compagni e le compagne del circolo di Rifondazione non possono dimenticare la sua grande generosità che lo portava ad affrontare iniziative sempre diverse, unendo spirito di servizio e forza di volontà. Amava stare tra le gente e impegnarsi per il bene comune, sempre coerente con le sue idee e i suoi principi.

Ci mancheranno il suo esempio e la sua umanità, ma faremo tesoro di quanto abbiamo imparato assieme.

I compagni e le compagne del circolo di Rifondazione comunista di Saronno.

venerdì 27 maggio 2016

SE LA DEMOCRAZIA E' INCOMPATIBILE CON IL MERCATO



Il pronunciamento netto a favore della riforma istituzionale col quale ieri Vincenzo Boccia ha inaugurato il mandato alla guida di Confindustria non è uno dei tanti pareri che piovono in questi giorni, in seguito alla scelta renziana di aprire la campagna referendaria con mesi di anticipo.
Sul sì degli industriali, che verrà ufficializzato il 23 giugno dal Consiglio generale dell’associazione, non c’erano dubbi. Le motivazioni dell’entusiasta sostegno degli industriali alla riforma meritano tuttavia di essere considerate con attenzione. Boccia infatti non le manda a dire: le riforme sono benvenute e benemerite perché devono «liberare il Paese dai veti delle minoranze e dai particolarismi», il cui perverso esito è stato «l’immobilismo».
Immobilismo? In un Paese in cui, nel 2011, un governo da nessuno eletto ma imposto dall’Europa e da un capo dello Stato che travalicava di molto i confini del proprio ruolo istituzionale ha stracciato in quattro e quattr’otto diritti e garanzie del lavoro conquistate in decenni, senza che quasi nessuno proferisse verbo? Con un governo che nella sua marcia ha incontrato un solo serio ostacolo, costituito non dalle minoranze e dai particolarismi ma da una parte integrante della truppa del premier, i cosiddetti catto-dem? Dal giorno dell’ascesa a palazzo Chigi di Renzi, anche lui senza alcun voto popolare, il loro è stato l’unico no che il governo ha dovuto ingoiare ma è improbabile che a questo alludesse Boccia. Per il resto nessuna minoranza e nessun particolarismo hanno trovato ascolto alle orecchie del gran capo.
Il problema è che gli industriali, proprio come la grande finanza e le centrali del potere europeo, stanno mettendo le mani avanti. Non hanno bisogno di intervenire sul presente, che dal 2011 gli va benone così com’è, ma sul futuro. Devono impedire che la democrazia, dissanguata in nome della crisi dei debiti e del voto del 2013, reclami domani diritti che sulla carta ancora avrebbe. Si tratta, non certo per la prima volta nella storia italiana, di rendere un’emergenza permanente.
Quello degli industriali non è un endorsement tra i tanti: è la vera chiave della riforma, la sua ragion d’essere. Per smontare la retorica sui guasti del bicameralismo che costringerebbe le leggi a transitare come anime in pena tra Montecitorio e Palazzo Madama basterebbero i dati sui tempi di approvazione delle leggi in Europa. L’Italia è nella media.
Da quel punto di vista il bicameralismo non desta preoccupazioni. I tempi diventano biblici solo quando leggi spinose vengono chiuse nel cassetto e lì dimenticate. Nulla, nel nuovo assetto disegnato dalla riforma, impedirebbe di farlo ancora, sia pure in una sola camera.
I poteri economico-finanziari, però, si sono convinti che produzione ed economia possano prosperare solo in una situazione di democrazia decurtata e in virtù di governi autoritari, tali cioè da non doversi misurare con «le minoranze e con i particolarismi», in concreto, con un libero Parlamento.
Come quasi tutti gli orientamenti imposti dall’Europa e dai poteri economico-finanziari si tratta di un dogma. Anche a voler accettare il prezzo salatissimo dello scambio tra democrazia e produttività, nulla garantisce che i risultati arriverebbero, anche solo in termini di efficienza produttiva. Proprio il caso dell’Italia, dove la democrazia parlamentare è soffocata da ormai cinque anni senza risultati apprezzabili, dovrebbe dimostrarlo, ma tant’è. Questa è la strada decisa da chi deve decidere per tutti.
Questo ha detto nel suo primo discorso il presidente di Confindustria. Scusate se è poco.


Andrea Colombo, il Manifesto

mercoledì 11 maggio 2016

mercoledì 9 marzo 2016

17 APRILE VOTA SI: FERMA LE TRIVELLE



VOTA SI
7 buone ragioni per farlo:

1
Il tempo delle fonti fossili è scaduto: in Italia il nostro Governo deve investire da subito su un modello energetico pulito, rinnovabile, distribuito e democratico, già affermato nei Paesi più avanzati del nostro Pianeta.
2
Le ricerche di petrolio e gas mettono a rischio i nostri mari e non danno alcun beneficio durevole al Paese. Tutte le riserve di petrolio presenti nel mare italiano basterebbero a coprire solo 7 settimane di fabbisogno energetico, e quelle di gas appena 6 mesi.
3
L’estrazione di idrocarburi è un’attività inquinante, con un impatto rilevante sull’ambiente e sull’ecosistema marino. Anche le fasi di ricerca che utilizzano la tecnica dell’airgun (esplosioni di aria compressa), hanno effetti devastanti per l’habitat e la fauna marina
4
In un sistema chiuso come il mar Mediterraneo un eventuale incidente sarebbe disastroso e l’intervento umano pressoché inutile. Lo conferma l’incidente del 2010 avvenuto nel Golfo del Messico alla piattaforma Deepwater Horizon che ha provocato il più grave inquinamento da petrolio mai registrato nelle acque degli Stati Uniti.
5
Trivellare il nostro mare è un affare per i soli petrolieri, che in Italia trovano le condizioni economiche tra le più vantaggiose al mondo. Il “petrolio” degli italiani è ben altro: bellezza, turismo, pesca, produzioni alimentari di qualità, biodiversità, innovazione industriale ed energie alternative.
6
Oggi l’Italia produce più del 40% della sua energia da fonti rinnovabili, con 60mila
Addetti tra diretti e indiretti, e una ricaduta economica di 6 miliardi di euro.
7
Alla Conferenza ONU sul Clima tenutasi a Parigi lo scorso dicembre, l’Italia -insieme con altri 194 paesi - ha sottoscritto uno storico impegno a contenere la febbre della Terra entro 1,5 gradi centigradi, perseguendo con chiarezza e decisione l’abbandono dell’utilizzo delle fonti fossili. Fermare le trivelle vuol dire essere coerenti con questo impegno.

Comitato nazionale Vota SI per fermare le trivelle
Via Po 25/c, 00198 Roma
info@fermaletrivelle.it
Tel. 06 8559286 06 8841467
Per aderire contattaci via mail: adesioni@fermaletrivelle.it www.fermaletrivelle.it

martedì 9 febbraio 2016

LA NECESSITA' DELLE BATTAGLIE REFERENDARIE

Intervento di Paolo Maddalena all’Assemblea del Coordinamento Democrazia Costituzionale
30 Gennaio 2015 – Università della Sapienza, Roma

La prima cosa da dire ai cittadini chiamati a esprimersi sui referendum, per “le riforme costituzionali” e per l’abrogazione della legge elettorale “Italicum”, è quella di chiedersi: “cui prodest”? A chi giova? In altri termini, all’immaginario collettivo, ottenebrato dalla politica menzognera del “neoliberismo”, pensiero unico dominante, deve essere innanzitutto chiarito che dette riforme, obiettivo ultimo e non rinunciabile di Matteo Renzi, non sono di alcuna utilità per il popolo italiano, ma servono soltanto agli interessi economici della “finanza”, cioè delle banche e delle multinazionali, alle quali Renzi, come in genere l’intera classe politica, si è da tempo asservito.
In proposito è molto importante sottolineare che la “finanza” possiede una “ricchezza fittizia”, costituita da “prodotti finanziari”, ed in particolare da “derivati” ad alto rischio per la Collettività, che ha raggiunto dimensioni stratosferiche.
E’ stato valutato che, nel 2010, il valore dei “derivati” in circolazione nel mondo ammontava a 1,2 quadrilioni di dollari, mentre il prodotto interno lordo di tutti i paesi del mondo arrivava a mala pena a 60 trilioni di dollari. La situazione odierna è certamente molto più grave, ma ciò che è da porre in evidenza è che la “finanza”, avendo in mano, quasi per intero, tutta questa “ricchezza fittizia”, è in grado di determinare, essa sola, il livello dei prezzi delle materie di maggior consumo, il valore delle singole imprese (aziende, industrie, banche, ecc.) e il livello dei tassi di interesse sul debito pubblico e privato. Ne consegue che i destini dei singoli e dei popoli sono finiti nelle loro mani.
Questa “ricchezza fittizia” è stata costruita grazie al “sistema della creazione del danaro dal nulla” da parte delle banche private, le quali sono state autorizzate dalla legge a trasformare i propri diritti di credito (derivanti da prestiti a clienti), in “titoli commerciabili”, cioè in “obbligazioni” il cui valore dipende dal fatto, certamente aleatorio, che il debito sia pagato. Questo “sistema” cosiddetto dei “derivati” si è ben presto esteso a qualsiasi “strumento finanziario” che faccia “derivare il proprio valore” da quello di altre attività, quali merci, valute, crediti, titoli, indici finanziari o addirittura eventi sportivi, corse di cavalli, gare di calcio, ecc. Si tratta in sostanza di “scommesse” sul verificarsi di un determinato evento. Un vero e proprio assurdo.
Le leggi che rendono legittimi questi “strumenti finanziari” sono state emanate, dapprima negli Stati Uniti, e poi man mano in molti Stati dell’Occidente. In Italia, la legge n. 448 del 2001 (finanziaria 2002) autorizza gli enti locali a pareggiare i propri bilanci con i “derivati”, che la legge stessa denomina “swap”. La legge n. 130 del 1999, disciplina precisamente la “cartolarizzazione dei diritti di credito”, cioè di un particolare tipo di derivati che fanno derivare il “valore” economico del titolo stesso dal “pagamento” o dal “mancato pagamento” dei “debiti cartolarizzati”. Ci sono poi numerose leggi dei governi Berlusconi, che riguardano “la cartolarizzazione delle vendite degli immobili pubblici”, il cui valore economico deriva dal fatto che detti immobili “siano venduti” o restino “invenduti”; ci sono ancora leggi che prevedono un’altra forma di “derivati”, i “project bond”, il cui “valore” deriva dal fatto che la costruzione di una determinata opera pubblica “produca” o “non produca” un aumento di valore degli immobili circostanti, e l’elenco, lo si creda, potrebbe continuare a lungo. Questi “titoli commerciabili” sono in sostanza delle obbligazioni, per così dire, “a rischio”, il cui valore, come si è appena detto, deriva dal verificarsi o meno di determinati eventi, e servono per “trasferire” sugli acquirenti” il “rischio” insito nel titolo stesso. Se, poi, con detti titoli si pareggiano i bilanci di una banca che non può fallire, ovvero un ente pubblico territoriale, è chiaro che il rischio viene direttamente trasferito sulla collettività.

Tutto questo avviene a livello mondiale. La situazione, tuttavia, è ancora più grave in Europa, nella quale dirige le operazioni la cd. “troika”, che è formata: dalla BCE, composta da 18 banche centrali “private”, dalla Commissione Europea (completamente asservita ai voleri della finanza) e (non si sa bene a quale titolo) dal Fondo Monetario Internazionale, formato da 12 banche “private” di primaria importanza, tra le quali la Rothschild, la Goldman Sachs, la J. P. Morgan, e da una moltitudine di altre banche private tra loro collegate e in genere dipendenti dalle banche maggiori. Questo organismo, sotto la spinta autoritaria della Bundesbank, che è la più forte delle banche centrali europee, impone agli Stati membri del sud Europa una “politica di austerità”, al fine dichiarato, ma assolutamente menzognero, di diminuire il debito pubblico, che poi, con altra menzogna, viene fatto ritenere come conseguente ai “costi dello stato sociale”, e non, come realmente è, agli alti “tassi di interesse” imposti dai mercati sui titoli del debito pubblico. E si noti al riguardo che i paesi del nord Europa, e specie i paesi scandinavi (che sono portati a modello) spendono per i servizi pubblici essenziali di gran lunga molto più dell’Italia e, in genere, dei Paesi del sud Europa. In effetti, non può sfuggire all’opinione pubblica che l’imposizione della politica di austerità, facendo tagliare le spese e facendo diminuire gli investimenti in attività produttive, comporta una “aumento” e non una “diminuzione” del debito pubblico, visto che si tratta di un rapporto tra debito e PIL. Come se ciò non bastasse, questo Organismo impone agli Stati del sud Europa anche i cd. “compiti a casa”, l’obbligo cioè di attuare riforme che, anziché far crescere l’economia con investimenti produttivi, la fanno andare in recessione aumentando la disoccupazione.
E qui viene in evidenza l’altro strumento che, oltre la “creazione del danaro dal nulla”, utilizza la “finanza”: le “privatizzazioni” dei beni pubblici in proprietà collettiva del popolo, le quali sono presentate come” vantaggiose” per gli interessi degli Italiani, in quanto servono a pareggiare i bilanci pubblici. Si tratta, invece, di strumenti menzogneri e micidiali, poiché recidono il legame tra un’industria, o un altro bene produttivo, ed il territorio, facendo in modo che questo bene, che apparteneva a tutti i cittadini e che è stato venduto a un solo soggetto, di solito straniero, vaga per il mondo come vaga il suo titolare con la conseguente “delocalizzazione” che provoca perdita dei posti di lavoro ed ulteriore miseria.
Altra disastrosa menzogna è quella che riguarda la proclamata bontà delle “liberalizzazioni”, anch’esse volute da questa specie di Europa che Europa non è, le quali sono invece dannosissime per l’Italia, poiché pongono in concorrenza aziende ed industrie dei paesi del sud Europa, e soprattutto italiane, con aziende ed industrie straniere, come quelle tedesche, che godono dei favori del mercato, e quindi godono di una posizione di vantaggio (posizione economica dominante), e agiscono spesso violando impunemente i Trattati internazionali e quelli dell’Unione Europea.
Non può sfuggire a nessuno che, In realtà, le “privatizzazioni” e le “liberalizzazioni” servono per far sì che la finanza possa trasformare in “beni reali” i beni “fittizi” creati dal nulla, possa cioè impunemente esercitare un’opera predatoria di rastrellamento dei beni reali esistenti, annientando la sua originaria funzione che era quella di investire, guadagnare sugli investimenti (il profitto) e aumentare l’occupazione. In altri termini, l’antico percorso “finanza-prodotto-finanza”, si è ora trasformato nel percorso “finanza-finanza”, con l’effetto di produrre ricchezza per pochi e disoccupazione, recessione e miseria per tutti coloro che non fanno parte della ristretta “oligarchia neocapitalistica”.
Si capisce, a questo punto, che l’ultimo ostacolo che la finanza desidera fortemente superare per la realizzazione completa del suo “progetto politico” è costituito dall’esistenza in Europa delle Costituzioni del secondo dopoguerra, che tutelano i diritti fondamentali della persona umana e che impediscono le subdole operazioni delle quali si è detto. D’altro canto è da segnalare che già oggi il Meccanismo Europeo di Stabilità, l’Organo dell’UE che elargisce i prestiti, gettando nella miseria e nella morte milioni di persone (vedi la Grecia), si avvale di taluni provvedimenti normativi che dichiarano i loro componenti “immuni da qualsiasi responsabilità penale, civile e amministrativa, ed immuni i loro archivi”, in modo che nessun giudice nazionale possa leggere i documenti in essi conservati. Questa “immunità” verrà estesa a tutti gli operatori economici e finanziari con la firma, già promessa da Renzi, del Trattato Transatlantico tra Stati Uniti e UE (TTIP), di prossima sottoscrizione.
Eppure, questo “deforme sistema economico finanziario” che è stato creato dal pensiero neoliberista e attuato dall’oligarchia finanziaria, potrebbe essere facilmente smantellato, se si abrogassero le leggi incostituzionali sinora emanate in materia dai singoli Stati e, per quanto ci riguarda, si applicasse il sistema dell’”economia mista” previsto dalla Sezione terza della Parte prima della vigente Costituzione repubblicana.
Ma, ovviamente, i governi Europei, ed in particolare i nostri, del tutto asserviti alla finanza, si guardano bene dall’applicare le proprie Costituzioni e fanno di tutto per distruggerle. Infatti, da noi, le modifiche costituzionali oggetto di referendum servono proprio per fare in modo che una ristretta cerchia di elettori, che potrebbero costituire anche solo il 20 o 25 per cento dell’elettorato attivo, possa, mediante il sistema del ballottaggio previsto dall’attuale legge elettorale, detta “Italicum”, avere la stragrande maggioranza dei seggi in Parlamento, e, essendo stato il Senato reso del tutto passivo ed imbelle dalla stessa riforma, attuare agevolmente “ulteriori modifiche” anche della parte prima della Costituzione, cancellando persino i “diritti fondamentali” che più insidiano gli interessi della finanza, come il diritto alla salute, all’istruzione, alla ricerca scientifica e tecnologica e così via dicendo.
E’ opportuno comunque ricordare che tutti i provvedimenti legislativi approvati nel corso del governo Renzi hanno questa incredibile caratteristica: sono a favore della finanza internazionale (soprattutto statunitense e tedesca) e sono contro gli interessi del Popolo italiano, contro la salute dei cittadini e contro l’ambiente.
Per esser brevi, citiamo soltanto l’art. 1 del decreto “Sblocca Italia”, nel quale si legge che “in caso di motivato dissenso da parte di un’Amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, del patrimonio storico o artistico o alla tutela della salute e della pubblica utilità, la questione, in deroga all’art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche e integrazioni, è rimessa alla decisione del Commissario, che si pronuncia entro quindici giorni”. Il che vuol dire che l’interesse all’esecuzione dell’opera (molto spesso inutile o dannosa) prevale sulla tutela del territorio, della salute e dell’incolumità dei cittadini. Si potrebbero peraltro citare una serie interminabile di provvedimenti che vanno in questo senso: si pensi al “Jobs Act”, che ha eliminato con un tratto di penna i diritti dei lavoratori conseguiti dopo decenni di lotta, alla “buona scuola”, che affida tutto a un “manager” e privilegia le scuole dei ricchi al posto di quella pubblica di tutti, alla “riforma della P. A.”, la quale, tra l’altro, ha disposto che il principio del “silenzio assenso” valga anche per le zone vincolate, mentre ha tolto autorità alle Soprintendenze, accorpandole e sottoponendole al Prefetto.
Ciò detto si capisce che Renzi dice il vero quando annuncia che, se perdesse il referendum, lascerebbe la politica: egli, evidentemente, ha assicurato ai suoi sostenitori “finanziari” che avrebbe cancellato la nostra Costituzione Repubblicana. Cosa che, come si è visto, è resa possibile attraverso la modifica costituzionale in esame in rapporto alla nuova legge elettorale detta Italicum. Una combinazione di leggi che consegnerebbe il Parlamento ed il Paese ad una minoranza, divenuta, per la “magia” delle modifiche renziane, una “maggioranza fittizia”, facilmente manovrabile dal Capo del governo.
Ecco allora che si rende necessaria la battaglia referendaria che sta per iniziare: dire chiaramente NO a questa riforma costituzionale ed a questa legge elettorale rappresenta un dovere per ogni cittadino Italiano ed una necessità improrogabile per l’interesse dell’intero nostro Paese.


Paolo Maddalena
(Vice Presidente Emerito della Corte costituzionale)